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  Editoriale Numero 94, Marzo 2011   
È la Bottiglia che fa il VinoÈ la Bottiglia che fa il Vino  Sommario 
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È la Bottiglia che fa il Vino


 Qualche tempo fa mi è capitato, come tante altre volte, di visitare una cantina e di intrattenermi con il proprietario a parlare di vino, di come lo produce, delle sue scelte enologiche e viticolturali, del modo con il quale commercializza i frutti dei suoi vigneti. È sempre interessante visitare cantine - ma soprattutto i vigneti - guardare il suolo, ammirare il panorama e come la vite si esprime in quel contesto. Si parla del territorio, di comprenderlo prima ancora di incontrarlo nel calice, del rapporto del produttore con la sua terra e con le sue uve, la sua visione di fare vino. Argomenti tutti interessantissimi e avvincenti, carichi della passione di un lavoro e di una cultura antica che si rinnovano con l'arrivo di ogni nuova stagione. Si assaggia in cantina, si spilla vino giovane dalle vasche e dalle botti, spesso infante, immaturo e acerbo ma già carico di strepitose promesse. Si stappano bottiglie, si susseguono i calici, si parla, si annusa, si assaggia e si discute, si esprimono opinioni e pareri, tutti sul vino, quel vino.


 

 Argomento strettamente legato al vino, almeno per chi lo produce e di questa attività ne ha fatto anche un'impresa - che comprensibilmente necessita di procurare profitti - è la commercializzazione. Si parla di prezzi, si chiedono opinioni sul prezzo che si è disposti a pagare per quella o quell'altra bottiglia. Si parla anche di come posizionare sul mercato un vino e come comunicare al consumatore quel vino. Un tempo considerato erroneamente da molti come un fattore marginale, oggi anche i produttori più piccoli e modesti, comprendono la fondamentale strategia della comunicazione per il successo del loro lavoro. E per comunicazione non si intende solamente quello che si scrive nel materiale promozionale, negli opuscoli e nei pieghevoli pubblicitari o nelle etichette. Si intende anche l'immagine, di come si presenta visivamente un prodotto, in altre parole, dal tipo di abito scelto per vestire un vino. Sembra banale, eppure spesso determina il successo del lavoro di un intero anno.

 Dopo alcune bottiglie, questo produttore mi presenta quello che è fra i suoi vini più rappresentativi: stappa la bottiglia e ne versa il contenuto nel mio calice. Osservo il calice, lo annuso e infine lo assaggio, sotto l'attento sguardo di questo produttore intento a scorgere nelle mie reazioni e nella mia gestualità quello che potrebbe essere il mio giudizio su quel vino. «Allora? Come trovi questo vino?», mi chiede. «Ottimo, come sempre. Qui l'annata 2006 regala un'eleganza ancor più affascinante», rispondo. Sorride compiaciuto ma poi si fa subito serio: «Eppure, contrariamente al passato, quest'anno faccio molta fatica a vendere questo vino». Sarà la crisi economica di questi anni - penso - oppure ha cambiato distributore, forse meno capace rispetto al precedente. Mi conferma che la crisi di certo non aiuta e che il distributore è esattamente lo stesso da anni. Confessa però che è cambiata la bottiglia, una necessità imposta dal rinnovo della linea di imbottigliamento.

 Molti, probabilmente, penseranno che questo produttore abbia iniziato a imbottigliare il suo ottimo vino in bottiglie con il tappo a vite o altro sistema alternativo, abbandonando il sughero. Niente di tutto questo: il tappo di sughero è ancora li. Ciò che è invece è cambiato è il tipo di bottiglia. Questo vino è stato imbottigliato per anni in bottiglie di stile “bordolese”, quelle che tecnicamente si definiscono a spalla alta e che si distinguono dalle “bordolesi normali” per essere più alte di circa due centimetri e, generalmente, di vetro più spesso. Per il resto, tutto come prima: stessa etichetta, stesso sughero, stessa capsula, stesso prezzo. «Com'è possibile che il passaggio dalla bordolese a spalla alta a quella a spalla bassa abbia provocato un calo delle vendite?» - gli chiedo - «Deve esserci sicuramente dell'altro». Il produttore alza sconsolato le spalle e dice che questo è quello che gli è stato riferito dal distributore, riportando le impressioni dei loro clienti ristoratori e delle enoteche.

 La saggezza popolare ci ricorda che “L'abito non fa il monaco”, eppure in questo caso sembrerebbe che è proprio l'abito a fare il monaco. Di certo viviamo in tempi piuttosto “bizzarri”, la nostra società ha attribuito all'apparenza un valore esagerato ed esasperato, annullando tragicamente il merito. E questo vale anche per il vino, non c'è dubbio. La vista di una bottiglia alta e imponente fa pensare a un vino di migliore qualità; una bottiglia più bassa, a un vino minore e di minore pregio. In fin dei conti, va da sé, è ciò che il produttore mette in quella bottiglia a fare grande un vino, non certo come lo presenta. Quello che è accaduto a questo produttore non è comunque un caso isolato. Più volte mi è capitato di ascoltare il rimpianto di produttori che lamentavano un calo di vendite in seguito al cambiamento di un dettaglio estetico o funzionale della bottiglia.

 Ovvio che cambiamenti simili non significano sempre un sostanziale cambiamento in negativo sull'andamento delle vendite, ma è interessante notare questo tipo di reazione da parte dei consumatori. Ad onore del vero, ci sono anche produttori che hanno visto aumentare in modo significativo le vendite di un vino in seguito al totale cambiamento dell'etichetta e della bottiglia. Mentre è comprensibile che il cambiamento dell'etichetta può disorientare in modo evidente il consumatore, l'altezza della bottiglia - non la sua forma - dovrebbe influire di meno. Il cambiamento di un dettaglio nel “vestito” di un vino non disorienta e non allontana i consumatori affezionati a quel determinato vino: questi lo comperano per il contenuto della bottiglia e non per come si presenta. Ma è anche vero che la bottiglia, in sé, quando è esposta in uno scaffale di un negozio, deve competere con le altre così da guadagnarsi la preferenza del consumatore. E si sa, l'occhio vuole la sua parte, ma accontentarsi solo di come si presenta la bottiglia, non è proprio una gran bella parte.

Antonello Biancalana






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