Tempi duri per il vino, soprattutto per quello rosso. Un periodo decisamente
difficile in senso generale – da qualche tempo, infatti, è diminuito il consenso
dei consumatori – in modo particolare per quelli australiani. Terra di grandi
vini, l'Australia è famosa nel mondo soprattutto per i suoi rossi, nonostante,
nella grande terra dei canguri, si producano anche altri stili di vini. Sono i
rossi, tuttavia, a imporsi principalmente nelle preferenze dei consumatori, sia
nel mercato interno sia in quello dell'esportazione. Nella terra dei canguri
– infatti – la maggior parte dei vigneti è principalmente dedicata alle varietà
rosse Syrah, Cabernet Sauvignon e Merlot che, insieme, rappresentano la quota più
importante della produzione enologica. Fra i bianchi, lo Chardonnay è la varietà
che riscontra il principale interesse dei viticoltori. La gloria indiscussa
dell'Australia è il Syrah, qui e altrove conosciuto come Shiraz ed è in
questo modo che è indicato nelle etichette delle bottiglie australiane.
Nel mondo del vino, e non solo quello australiano, si registra da tempo un
fenomeno preoccupante e che rappresenta un serio ostacolo per i produttori,
chiamati a confrontarsi con un problema che, a quanto pare, non si era mai
verificato in modo così importante. È noto, infatti, che molte cantine si trovino
a dovere gestire un eccesso di vino invenduto che, oltre a occupare prezioso
spazio logistico, grava anche sui bilanci aziendali. La situazione diviene ancor
più critica con l'arrivo della nuova vendemmia, condizione che costringe a
raccogliere l'uva per produrre nuovo vino, il quale necessità di spazio per
l'immagazzinamento, aumentando quindi i costi che inevitabilmente gravano
ulteriormente sul mancato profitto dell'annata precedente. In accordo a quanto
diffuso dall'Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (OIV), nel 2023
la produzione complessiva ha superato la domanda reale di mercato del +10%. Vino
invenduto, quindi, che resta giacente nelle cantine dei produttori.
Questa condizione ha determinato un calo complessivo dei prezzi, mettendo quindi
a rischio i profitti dei produttori e, pertanto, la loro stessa
sopravvivenza. A quanto pare, questa condizione è diventata estremamente
grave in Australia, dove i produttori stanno subendo da qualche anno le
conseguenze della decisione del governo cinese di imporre dazi elevatissimi sul
vino australiano. Com'è noto – infatti – si tratta di una decisione introdotta
dal governo cinese lo scorso marzo 2020 come conseguenza di una crisi
diplomatica con l'Australia a causa delle vicende legate alla pandemia da
Covid-19. Questo provvedimento, inevitabilmente, ha fatto letteralmente
scomparire il vino australiano dal mercato cinese. Secondo le stime economiche,
il valore dell'esportazione del vino australiano verso la Cina – che per
l'Australia rappresenta il mercato principale – ha subito un crollo drastico,
passando da 662 milioni di dollari ad appena 6,6 milioni dello scorso anno.
L'Australia si è trovata quindi ad affrontare un enorme eccesso di giacenze,
mettendo in crisi l'intero comparto enologico. I produttori australiani hanno
cercato nuovi mercati in Europa e in America, tuttavia, l'attuale tendenza al
ribasso dei consumi in queste aree del mondo, non ha consentito loro di
fronteggiare, almeno in parte, questa crisi. A questo si deve poi aggiungere che
in Australia – esattamente come altrove – il consumo interno di vino è
diminuito. Secondo le stime rilasciate dal governo, lo scorso luglio 2023, nelle
cantine australiane, erano giacenti più di due miliardi di litri di vino,
equivalente a circa due anni di produzione. Una quantità enorme che ha costretto
i produttori australiani e svendere il vino in eccesso alle catene di
supermercati discount. Se si aggiunge, inoltre, che i costi di
fertilizzanti e carburanti per i macchinari agricoli sono nel frattempo
aumentati, oltre al calo drastico del prezzo delle uve e dei vini, la viticoltura
in Australia si sta trasformando in un'attività poco redditizia.
Le conseguenze di tutte queste particolari condizioni sono decisamente gravi sul
futuro della viticoltura ed enologia in Australia, tanto che moltissimi
produttori – in questo periodo – stanno procedendo con l'estirpazione dei
vigneti. I viticoltori, non ritenendo più redditizie né la coltivazione della
vite né la produzione del vino, stanno convertendo i propri terreni ad altre
colture. Si tratta di un danno enorme, soprattutto se si pensa che questo
triste destino è riservato anche a vigneti in piena produzione, quindi con
oltre dieci anni di vita, compresa l'estirpazione di vigneti avviati diverse
decine di anni fa. Una misura drastica e infausta – molti ricorderanno –
adottata recentemente anche in Francia, in particolare, a Bordeaux, causata
esattamente per lo stesso motivo: la minore richiesta di mercato e il calo dei
consumi. A quanto pare, però la situazione in Australia è decisamente più critica.
In accordo a recenti stime, si ritiene che, per riequilibrare l'eccesso
determinato dalle enormi scorte di vino nelle cantine australiane, sia necessario
estirpare 20.000 ettari di vigneti. Una superficie colossale, quindi. Francia e
Australia non sono ovviamente le uniche a trovarsi in questa situazione, poiché
la questione delle eccedenze di vino giacente in cantina è un problema che si
riscontra praticamente in ogni paese vitivinicolo del mondo. Compresa la
California, dove – a quanto pare – stanno cercando di gestire quello che è
stato definito come il peggiore squilibrio fra domanda e offerta degli ultimi
trenta anni. Il governo australiano sta cercando da tempo una soluzione alla
crisi che sta colpendo il settore vitivinicolo del paese, tuttavia non sembrano
esserci soluzioni semplici a quello che è – a tutti gli effetti – un problema
decisamente grave e complesso. Una delle soluzioni alle quali si sta lavorando è
quella di ristabilire i rapporti commerciali con la Cina, un lavoro diplomatico
fra istituzioni e governi, auspicata da molti.
A quanto pare – infatti – sembrerebbe che la Cina sia disposta a rimuovere
l'elevatissimo dazio imposto sui vini australiani, una misura che potrebbe
verificarsi entro alcuni mesi. Lo scorso ottobre il governo cinese si è infatti
reso disponibile a rivalutare l'imposizione dei dazi, un'operazione che
consentirebbe all'Australia di riprendere l'esportazione del vino – e altri
prodotti – verso la Cina. Ciò significherebbe la ripresa dei rapporti
commerciali, considerando, non da meno, che la Cina rappresenta per l'Australia
uno dei primari mercati di riferimento. Si stima, infatti, che un terzo delle
esportazioni australiane siano dirette verso la Cina e, con l'auspicata
abolizione dei dazi, il settore vitivinicolo potrebbe, quanto meno, sperare in
un'importante ripresa. Il provvedimento favorirebbe lo smaltimento di parte
dell'enorme eccesso di produzione e che attualmente grava sulle cantine
australiane, tuttavia non quello del vino di pronto consumo e che
difficilmente potrà essere commercializzato, se non a prezzi irrisori.
A prescindere dalle decisioni e le azioni diplomatiche fra i due governi, qualora
la Cina decidesse di rimuovere i pesantissimi dazi imposti sul vino australiano,
è comunque piuttosto improbabile che il mercato e la produzione del vino in
Australia possa tornare ai livelli precedenti il 2020. L'Australia – esattamente
come sta attualmente accadendo in qualunque altro paese vitivinicolo del mondo –
dovrà inevitabilmente confrontarsi con la revisione dei livelli di produzione. Il
consumo del vino è cambiato, anzi, è diminuito, con un impatto significativo
nelle economie enologiche di tutti i paesi produttori. Inoltre, questo è
particolarmente cruciale per l'Australia, considerando la prevalente produzione
di vino rosso del paese, uno stile che – in tempi recenti – sta
progressivamente perdendo il favore dei consumatori. Il mondo del vino sta
cambiando e non si tratta di un fenomeno legato alla semplice preferenza di stili
rispetto ad altri: questo accade da sempre e si ripete ciclicamente. Inoltre, il
fatto di avere in cantina eccedenze di vini invenduti – e non solo in
Australia – di certo non aiuta a fare previsioni per le annate successive, oltre
a rendere critica la gestione di quella corrente.
Antonello Biancalana
|