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  Editoriale Numero 51, Aprile 2007   
Una Denominazione Nazionale Anche in Italia?Una Denominazione Nazionale Anche in Italia? La Posta dei LettoriLa Posta dei Lettori  Sommario 
Numero 50, Marzo 2007 Segui DiWineTaste su Segui DiWineTaste su TwitterNumero 52, Maggio 2007

Una Denominazione Nazionale Anche in Italia?


 La decisione di Spagna e Francia di creare denominazioni nazionali - rispettivamente Vignobles de France e Viñedos de España - ha fatto molto discutere e non solo nei paesi dove sono state attuate. Molti sono infatti i detrattori di questi provvedimenti, secondo i quali una denominazione così “estesa” non porterà benefici alla qualità enologica del paese anche a scapito delle denominazioni di qualità attualmente in vigore. Molti sostengono che in questo modo sarà possibile - per esempio - commercializzare vino mediocre utilizzando i vantaggi di una denominazione che si avvale del nome e del prestigio di un intero paese. Altri invece sostengono che questo provvedimento sarà utile alla competizione con le produzioni enologiche di altri paesi emergenti e che stanno conquistando quote di mercato ovunque nel mondo, in particolare nei paesi dell'Asia, nei quali si registra un crescente interesse per il consumo di vino. I sostenitori delle denominazioni nazionali sono inoltre convinti del “beneficio” di produrre vini tali da esprimere le qualità della stessa uva nell'unione di caratteristiche di zone diverse, come per esempio un vino con gli aromi tipici di una zona e il corpo di un'altra.


 

 I produttori italiani, che negli ultimi mesi hanno segnato importanti successi nelle esportazioni di vino in tutto il mondo, sorpassando - addirittura - paesi come la Francia, stanno considerando l'ipotesi di creare una denominazione nazionale proprio per contrastare gli eventuali “attacchi” dei paesi che l'hanno già attuata. Forti degli ottimi successi conquistati nel mondo dal vino italiano, i produttori dello stivale si interrogano ora come mantenere questa posizione, possibilmente conquistando nuove quote di mercato. Il problema di come contrastare la concorrenza dei paesi vinicoli emergenti, sembra essere uno dei temi più ricorrenti negli ultimi tempi in Europa. Il timore che i vini prodotti nei cosiddetti paesi del “Nuovo Mondo” prenda il sopravvento nei consumi del vecchio continente, sembra essere fondato e concreto. Paesi che non hanno lunga storia o tradizione nella produzione di vino riescono infatti a produrre vini di qualità proponendoli, addirittura, a prezzi decisamente convenienti. E il consumatore, di fronte alla scelta di acquistare un vino buono che costa poco e uno che costa il doppio, è ovvio cosa sceglie, almeno in termini generali.

 La decisione recente di consentire anche in Europa l'utilizzo dei trucioli di legno nella produzione di vini è un esempio di come si stiano cercando metodi alternativi ed economici così da ridurre i costi e - forse - il prezzo di vendita. Adesso, oltre ai trucioli, potrebbero arrivare anche le denominazioni nazionali, già in vigore in Francia e in Spagna: due metodi con il dichiarato scopo di ottenere un vantaggio commerciale. L'idea dei francesi e degli spagnoli pare stia facendo discutere i produttori italiani che si stanno interrogando sull'opportunità di creare in Italia una denominazione nazionale. Nemmeno a dirlo, ci sono pareri favorevoli e pareri contrastanti. Alcuni sostengono che una denominazione “Italia” potrebbe essere utile a rafforzare la posizione dei vini italiani nel mondo, mentre altri sostengono che una denominazione nazionale sarebbe negativa per l'identità e la qualità delle denominazioni locali. Altri ancora sostengono un punto di vista puramente commerciale, poiché le denominazioni nazionali sono già in vigore in Francia e in Spagna - cioè nei due principali concorrenti dell'Italia a livello internazionale - allora sarebbe opportuno istituire una denominazione analoga in Italia così da “rispondere” prontamente.

 Se si osserva la realtà vinicola e ampelografica dell'Italia, l'eventuale istituzione di una denominazione nazionale presenta dei problemi pratici piuttosto complicati. Se prendiamo, per esempio, la denominazione nazionale francese - Vignobles de France - questa consente la produzione di un vino con uve - la stessa varietà - provenienti da più aree vinicole. Questo modello potrebbe funzionare con le varietà autoctone della Francia, come per esempio Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Sauvignon Blanc che negli altri paesi del mondo sono considerate “internazionali”, ma cosa accadrebbe con le varietà autoctone italiane? Come sarebbe possibile produrre, per esempio, un vino IGT Italia con il Nebbiolo o con la Corvina? La Corvina è praticamente presente nella sola Valpolicella, mentre il Nebbiolo è prevalentemente presente nel Piemonte e in alcune zone della Lombardia, Valle d'Aosta e - ancor più marginalmente - in Sardegna. Ma lo stesso si verificherebbe per altre uve autoctone e più diffuse, come il Sangiovese, prevalentemente coltivato nel Centro Italia.

 L'unica alternativa attualmente praticabile sarebbe quella di produrre vini IGT Italia con le sole uve “internazionali”, le uniche varietà presenti in ogni regione. E sarebbe un bel paradosso: un vino che sventola trionfante in etichetta il marchio Italia e prodotto con uve che non sono italiane. Che immagine si darebbe del vino italiano nel mondo? Un paese, con una storia enologica importante e antica, che per farsi rappresentare nel mondo utilizza le varietà internazionali anziché le varietà autoctone di cui l'Italia è ricchissima e che innegabilmente identificano il vino italiano. Avrebbe un senso? In alternativa, si potrebbe iniziare la coltivazione delle varietà italiane in ogni regione d'Italia così da potere produrre, per esempio, dei vini IGT Italia a base di Nebbiolo, Corvina, Primitivo, Cannonau, Nero d'Avola, Aglianico e via dicendo. Chissà se una proposta di questo tipo piacerebbe ai produttori delle regioni nelle quali queste uve sono da secoli legate a quei territori e le identificano in modo forte e inequivocabile. Chissà poi cosa e penserebbero i consumatori.

 Chi produce vino e lo fa per fini commerciali - nessun dubbio in questo - deve evidentemente avere un profitto. Chi produce vino e da questa attività ricava un profitto, deve necessariamente confrontarsi con la concorrenza, sia con i produttori del proprio paese, sia con i produttori di altri paesi. Possibile che per contrastare gli effetti della concorrenza si debba ricorrere a metodi che avrebbero come risultato evidente quello di creare una preoccupate confusione? Possibile che nessuno abbia mai pensato agli effetti negativi che potrebbero verificarsi a causa di una denominazione nazionale di pessima qualità? Se una denominazione nazionale dimostra - con i fatti - di produrre risultati mediocri oppure pessimi, l'intera credibilità enologica del paese ne risentirebbe pesantemente. Chi produce vino deve necessariamente confrontarsi con il profitto e con la concorrenza. D'accordo. Ma a quale prezzo? Al prezzo di togliere l'identità alle singole realtà vinicole che hanno impiegato anni per raggiungere gli ottimi risultati attuali? Tutto questo per la concorrenza? Magari il problema è da cercarsi altrove, anche nell'eterno problema della qualità venduta al giusto prezzo. La qualità non è un fattore che dipende dalla tradizione, dalla storia o dal nome di un paese: la qualità è un fattore che nasce da una precisa scelta del produttore. Nessuno è disposto a pagare un alto prezzo per qualcosa che, nei fatti, vale molto meno del prezzo richiesto. Nemmeno se nell'etichetta legge “Italia”, “Francia” o “Spagna”.

 



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La Posta dei Lettori


 In questa rubrica vengono pubblicate le lettere dei lettori. Se avete commenti o domande da fare, esprimere le vostre opinioni, inviate le vostre lettere alla redazione oppure utilizzare l'apposito modulo disponibile nel nostro sito.

 

Un mio amico mi ha detto che usare il decanter per fare ossigenare il vino non è una buona idea, poiché in questo modo si introduce una quantità elevata di ossigeno rischiando di compromettere le qualità organolettiche del vino. Ha ragione?
Yvette Annaud -- Parigi (Francia)
Il “dilemma” della decantazione è piuttosto ricorrente e molti appassionati di vino la ritengono essenziale solo per i vini lungamente affinati in bottiglia, mentre altri eseguono questa operazione per qualunque vino, anche per i vini bianchi. Il processo della decantazione favorisce innegabilmente l'ossigenazione del vino, che, per effetto dello scorrimento lungo la parete, espone un'ampia superficie di contatto don l'aria. Un vino che ha trascorso diversi anni in bottiglia - cioè in un ambiente “ridotto” che offre pochissime possibilità di contatto con l'ossigeno - sviluppa degli aromi che sono il risultato della loro evoluzione. Un'ossigenazione eccessiva e repentina potrebbe in effetti “distruggere” in parte questo lento e paziente lavoro del tempo. Vista la buona disponibilità di calici nel mercato, che hanno oramai raggiunto livelli “tecnici” molto elevati, è preferibile servire direttamente il vino nei calici e provvedere con un'ossigenazione meno “violenta”, ottenuta con qualche secondo di roteazione. Il decanter diventa comunque indispensabile nel caso in cui nella bottiglia sia presente un sedimento, in questo caso l'operazione di decantazione consente di separare la parte limpida del vino lasciando nella bottiglia il deposito prodotto dal tempo.



Spesso leggo nelle recensioni di vini descrizioni di aromi che, a mio giudizio, sono più frutto della fantasia dei degustatori che della realtà, come per esempio aromi di tabacco, cuoio, fieno o sentori animali. A questo proposito mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. È possibile che in un vino si trovino questi aromi oppure si tratta della fantasia che il degustatore utilizza nelle sue descrizioni?
Aldo Cavanna -- Milano (Italia)
La degustazione sensoriale e analitica di un vino è certamente un'operazione complessa - tuttavia non impossibile - che richiede pratica, esperienza e dedizione. A questo proposito è bene ricordare che la descrizione completa e precisa di un vino è comunque piuttosto difficile, poiché anche al soggettività del degustatore svolge un determinato ruolo. Ognuno possiede le capacità sensoriali necessarie alla degustazione di un vino, salvi i casi in cui siano presenti particolari e comunque rare patologie che ne limitino la funzionalità. Senza entrare nel merito delle descrizioni, o delle suggestioni, che i degustatori utilizzano per i vini, è bene ricordare che il riconoscimento degli aromi in un vino viene eseguito per “analogia”, cioè associando una determinata sensazione olfattiva percepita nel calice con gli analoghi profumi e aromi che caratterizzano certe essenze, come quelle dei fiori e della frutta. È innegabile che l'affinamento in bottiglia di un vino - che si trova inoltre in un ambiente “ridotto” - sviluppi con il tempo qualità aromatiche totalmente assenti nello stesso vino giovane. Questo affinamento tende a sviluppare aromi molto complessi che, per analogia, sono associati a sensazioni aromatiche non rappresentate nel mondo di frutti e fiori, come il cuoio e i sentori animali. L'analisi in laboratorio, che di certo non si può ritenere “fantasiosa”, conferma in effetti la presenza nel vino delle stesse molecole odorose che si ritrovano negli aromi descritti per “analogia” dai degustatori. È comunque innegabile che nella pratica di degustazione, soprattutto quella collettiva, la suggestione svolge un ruolo “critico”. È ampiamente provato che, per esempio, se uno dei degustatori di un gruppo dichiara di percepire in un vino un determinato aroma, con molta probabilità anche gli altri, per suggestione, saranno portati a riconoscere lo stesso aroma in quel vino. Per questo motivo, nelle valutazioni svolte da un gruppo di degustatori, si impone il silenzio più rigoroso, sia per il rispetto verso il lavoro degli altri, sia per non influire negativamente nella loro valutazione.



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