Come molti sanno, il mio interesse per il vino è prevalentemente di tipo
tecnico, cioè mi appassionano principalmente i temi di natura tecnica,
viticolturale ed enologica, non da meno, anzi, maggiormente, quelli legati alle
qualità organolettiche e sensoriali. Temi che – con pari passione ed
entusiasmo – mi accompagnano anche negli altri ambiti che fanno parte delle mie
attività professionali e formative, fra questi, la cucina, tè, caffè, cacao e
cioccolato, birra e distillati, tanto per citare i principali. In ognuno di
questi ambiti, la degustazione sensoriale è evidentemente fondamentale per
incrementare la propria conoscenza, un esercizio di essenziale importanza quando
è svolto, ovviamente, con il rigore e la finalità dello studio. Un'abitudine che
risulta essere di primaria utilità, in questo senso, è quella di prendere nota di
ogni degustazione, non solo delle qualità specifiche e derivanti dalla
valutazione dell'assaggio, ma anche delle condizioni ambientali e tecniche
esistenti durante la valutazione.
Queste note, indipendentemente dal modo con il quale si compilano – dallo
scrivere nei taccuini, fogli di carta, uso di applicazioni software compreso –
sono essenziali per la costituzione di una base di dati, utilissima, non
da ultimo, per operazioni di revisione e comparazione. Non meno importante, per
ricordare. Nel mio caso, tutte le mie note di degustazione, per tutti gli ambiti
e temi che mi riguardano, sono da sempre conservate e organizzate mediante dei
software specifici che ho progettato e sviluppato personalmente. Per quanto
riguarda, nello specifico, il vino, il software che ho sviluppato e uso
– progetto iniziato nel 1995, ancora oggi in sviluppo ed evoluzione – è
EnoExpert, un sistema esperto capace di fare previsioni organolettiche e
produttive sui vini in funzione di parametri che definiscono, per esempio,
territorio, uve, pratiche enologiche, condizioni climatiche e ambientali.
EnoExpert, inoltre, è stato progettato per la gestione delle note di
degustazione e, in questo senso, lo utilizzo per la conservazione delle mie
personali degustazioni, oramai prossime a 85.000. Fra le informazioni che
conservo e annoto per ogni vino degustato, c'è anche il suo grado alcolico, nello
specifico, quello dichiarato dal produttore in etichetta.
Fra i vantaggi – aggiungerei, la bellezza – di avere a disposizione quantità
importanti di dati, c'è anche quello di potere eseguire analisi statistiche, le
quali generano – molto spesso – risultati decisamente interessanti e
significativi. Fra questi, per esempio, l'impiego delle uve nei territori in
funzione del tempo: un'analisi statistica interessante e che, spesso, evidenzia
l'andamento di certe mode e lo sviluppo delle denominazioni, nonché intere
regioni e paesi. Un altro studio statistico è quello del volume alcolico dei vini
in funzione del tempo e delle singole annate. Come detto, quando degusto un vino,
indipendentemente dall'occasione o contesto, annoto anche il grado alcolico
dichiarato dal produttore in etichetta e, grazie a questo, ho potuto determinare
il grado alcolico medio dei vini che ho degustato in funzione dell'annata. Il
risultato meno eclatante – poiché facilmente prevedibile – è la media del
grado alcolico nelle annate calde, caldissime o pessime, evidentemente più
alto nelle prime, più modesto in quelle meno favorevoli.
A titolo di esempio, prendendo due annate che ancora oggi si ricordano in Italia,
per motivi diversi, come fra le peggiori – il 2002 – e le più calde, come
il 2003, nella prima il grado alcolico medio è stato del 12,7%, nella seconda,
13,8%. È interessante, inoltre, il risultato delle annate più equilibrate
e che si considerano fra le migliori degli ultimi venti anni in termini generali
– come il 2006, 2015, 2016 e 2019 – il grado alcolico medio si attesta intorno
al 13,2%. Interessante, inoltre, l'andamento del grado alcolico degli ultimi 40
anni: si passa dal 12,2% degli anni 1980 per poi aumentare in modo costante e
inarrestabile fino ad arrivare a 13,9% del 2017. Dopo quest'annata – che si
ricorda per le sue temperature elevate – la tendenza è decisamente in ribasso. A
partire dal 2018, infatti, il grado alcolico medio dei vini registra un calo
progressivo, fino a toccare nel 2023 – annata che, senza ombra di dubbio, mi
offrirà ancora centinaia di degustazioni, quindi di preziosi dati e
informazioni – il grado alcolico medio di 12,8%.
A titolo di confronto, l'annata 2018 ha registrato un grado alcolico medio del
13,45%, il 2019 13,43%, 13,29% nel 2020, 2021 con il 13,19% e il 2022 con
13,05%. Le ultime annate, ovviamente, saranno ulteriormente e progressivamente
completate dai vini cosiddetti riserva, quando saranno commercializzati,
tuttavia i dati sono già significativi. Questi valori mi fanno pensare alla
conseguenza dei provvedimenti e leggi che proprio negli ultimi anni hanno, per
così dire, scoraggiato il consumo di bevande alcoliche, soprattutto – e
giustamente – quando si deve guidare un veicolo. Questi dati farebbero inoltre
pensare che i produttori si sono, per così dire, adattati alle nuove
tendenze e necessità dei consumatori e del mercato, abbassando volutamente il
grado alcolico dei loro vini. Un dubbio lecito, legittimo e perfino scontato, in
considerazione di questi risultati. Restano comunque valori medi piuttosto alti
se confrontati al grado alcolico medio degli anni 1970, 1980 e la metà degli anni
1990, quando il valore era ampiamente sotto il 13%.
Ricordo infatti, quando cominciavo ad avvicinarmi al mondo del vino, all'inizio
degli anni 1990, un volume alcolico del 12,5% non solo rappresentava, per così
dire, la norma, ma era anche considerato piuttosto alcolico. Io stesso,
sia nei miei ricordi, sia nelle mie annotazioni di degustazione, ho molti vini di
quel periodo che raramente superano questo valore. A quei tempi, un vino di
pronta beva, quindi dell'annata più recente, non era raro che avesse
anche meno di 12 gradi. Negli anni 2000, questo valore fu ampiamente superato
– con vini che arrivavano anche a oltre 15 gradi – e un vino con il 12,5% di
alcol era considerato e, per certi aspetti, ancora oggi si considera, poco
alcolico. Negli ultimi anni, innegabilmente, l'attenzione dell'informazione,
della politica, del mondo scientifico e medico, si è particolarmente concentrata
sull'alcol e i suoi effetti sull'organismo umano e, quindi, sulla salute.
Aggiungiamo, non da meno, che i consumatori – soprattutto quelli giovani – si
stanno, per così dire, allontanando dalle bevande alcoliche.
L'entrata in scena dei vini dealcolati, che da qualche anno stanno riscuotendo
crescente interesse da parte dei consumatori e produttori, sta inoltre cambiando
in modo sostanziale il mondo del vino. Anche la politica è stata
costretta, per così dire, a occuparsi di questo nuovo vino
– che, personalmente, considero non-vino – e in Europa è imminente il
decreto che ne favorirà la produzione e commercializzazione. Insomma, il futuro e
l'orientamento dell'Europa è certamente a favore dei vini senza alcol, una scelta
che non sorprende particolarmente, viste le campagne degli ultimi anni
finalizzate al minore consumo di bevande alcoliche. L'atteggiamento e
l'orientamento degli ultimi anni, mi porta a pensare che l'abbassamento medio del
grado alcolico dei vini potrebbe non essere casuale e necessariamente i
produttori hanno dovuto adeguare i loro vini con lo scopo di rispondere
alle nuove tendenze e richieste del mercato e dei consumatori. L'abbassamento del
volume alcolico medio, ovviamente, non costituisce uno svantaggio per il vino,
soprattutto per il fatto che il vino non è solo alcol. Elemento indispensabile
per la definizione delle qualità sensoriali del vino, l'alcol è anche un fattore
imprescindibile per l'equilibrio. Inoltre, va detto che un vino troppo alcolico
non è, per così dire piacevole, fine ed elegante come uno di minore
gradazione, ma è fuori discussione che l'alcol è parte imprescindibile del vino.
Quindi, per quel che mi riguarda, mi fa piacere notare l'abbassamento medio
dell'alcol dei vini – per le ragioni appena dette – molto meno, invece, per il
fatto che quelli dealcolati possano essere chiamati vino.
Antonello Biancalana
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