L'editoriale dello scorso mese ha suscitato un certo interesse da parte dei
consumatori e produttori, tanto che molti hanno ritenuto – in quantità ben
maggiore rispetto a quanto accade normalmente – di inviare mail con i loro
commenti e pensieri in merito a quanto ho scritto. A ogni mail in arrivo, mi
aspettavo di leggere le reazioni di disapprovazione da parte di quelli che, forse
colpiti nell'orgoglio, desideravano legittimamente di esprimere il proprio
dissenso. Ovviamente ci sono state molte mail in disaccordo con la mia opinione,
la maggiore di queste da parte dei produttori, tuttavia la maggioranza – di gran
lunga più cospicua rispetto alla minoranza – ha espresso totale condivisione con
quello che ho scritto. Fra questi, anche molti produttori i quali, pur non
apprezzando la narrazione favolistica e affabulatoria del vino, si trovano
loro malgrado a doverla subire per non meglio chiarite situazioni o
condizioni e unicamente per soddisfare una certa categoria di consumatori e i
contesti commerciali, culturali e sociali ai quali fanno riferimento o
appartengono.
Devo anche sottolineare, con piacere, che la maggioranza dei nostri lettori ha
espresso commenti di totale condivisione e approvazione, molti facendo inoltre
notare come in alcuni casi si arrivi al ridicolo con certe narrazioni.
Nemmeno a dirlo, sono d'accordo. Inoltre, mi fa piacere di non essere l'unico a
pensare che, molto spesso, si esageri con questo tipo di comunicazione che
esclude, in modo anche fin troppo evidente, il vino, relegato in posizione
marginale rispetto all'entusiasmante racconto di arcaiche fatine e
straordinari luoghi baciati da un destino benevolo, unico e magico. A onore del
vero, abbiamo ricevuto anche mail di nostri lettori che apprezzano questo tipo di
racconto intorno al vino, sebbene rappresentino la minoranza. Anche alcuni
produttori, da quel che si leggeva nei loro commenti, sembrano apprezzare questo
espediente comunicativo nel presentare i propri vini, o meglio, la propria
azienda e contesto produttivo.
Nell'editoriale dello scorso mese, in realtà, avrei voluto parlare anche di un
altro caso nel quale si fa un uso disinvolto di storie di vini. Per
mancanza di spazio, ho deciso di non trattarlo in quell'occasione ma – visto
l'interesse che ha suscitato, nel bene e nel male – lo faccio nell'editoriale di
questo mese. Mi riferisco alla vasta categoria di ristoranti, wine bar ed
enoteche, più in generale, nei luoghi dove si vende vino al dettaglio. Sarà forse
il dilagare degli affabulatori, non da ultimo e come ho potuto constatare
personalmente, che a certi consumatori interessino più i vini con una
storia anziché il vino in sé, spesso nei ristoranti, wine bar ed enoteche il
fenomeno è sempre più frequente. La narrazione e presentazione dei vini in
questi esercizi di vendita rasenta a volte il ridicolo per il modo con il quale
si magnificano le mirabolanti gesta del produttore o della cantina,
trascurando volutamente – forse per mal celare un'imbarazzante ignoranza o
impreparazione – le qualità specifiche del vino.
Una prova tangibile di quanto il vino sia maltrattato in molti ristoranti
lo si può inoltre evincere palesemente dalle loro carte dei vini. Annate
generalmente assenti, denominazioni e nomi dei vini approssimativi o errati,
organizzazione delle categorie effettuata in modo discutibile e confuso, nomi dei
produttori uniti a quelli del vino, anche in modo errato, a volte addirittura
omesso. La carta dei vini è uno strumento di lavoro che innegabilmente facilita e
incoraggia la vendita, ammesso sia costruita e compilata in modo opportuno ed
efficace. Come ho già scritto in passato relativamente a questo argomento,
personalmente non ordino mai vino nei ristoranti nei quali la carta dei vini è
palesemente disordinata, approssimativa, confusa o incompleta. L'esperienza mi
insegna che il servizio del vino sarà effettuato esattamente con lo stesso
disordine, approssimazione e confusione. Ovviamente, non tutti i ristoranti sono
così – esistono evidentemente lodevoli e ammirevoli eccezioni, non solo
nell'alta ristorazione – ma la maggioranza, per quello che mi riguarda, presenta
carte dei vini di imbarazzante inutilità.
C'è poi l'entusiasmante categoria dei ristoratori, camerieri e sommelier
cantastorie che, solitamente, si esibiscono nell'improvvisato palco difronte al
tavolo del malcapitato cliente, soprattutto quando la carta dei vini non è
disponibile oppure compilata in modo estroso, non da meno, con
stravagante creatività. Molto spesso, il monologo inizia senza
nemmeno chiedere cosa si è ordinato dalla cucina o si intende ordinare,
cominciando a elencare sommariamente i vini disponibili o da proporre,
concentrando prevalentemente il racconto su cosa fa il produttore, dove lo fa, la
sua visione e filosofia del vino e, non da meno, il privilegio che ha avuto dalla
vita per vivere in quel luogo così incantato. Se si prova a chiedere
specificamente qualche informazione relativa ai suoi vini, la risposta è spesso
elusiva e breve, per poi tornare abilmente al racconto del produttore, cosa fa,
dove abita e come vive, con un maniacale entusiasmo tale da fare pensare che
sicuramente sarà anche rivelato per quale partito politico vota, la sua religione
e il segno zodiacale. Magari anche il suo magico potere divino di sapere parlare
agli uccellini, farfalle e lucertole che vivono beate e felici nel suo incantato
vigneto.
Se si insiste ancora sul vino, li vedi cambiare espressione e, con disappunto,
farfugliano qualcosa tanto per accontentarti. Se si chiede poi l'annata del vino,
non è raro sentirsi rispondere non so, devo chiedere, devo controllare, non
sono sicuro. A questa categoria, poi, si aggiunge quella degli scopritori
di talenti enologici che, trionfanti, narrano di come sia stato avvincente
scoprire quel tale produttore che nessuno conosceva e che, per sommo e divino
privilegio, il cliente al tavolo ha la straordinaria fortuna di assaggiare i suoi
vini. Non importa poi se il vino è di una mediocrità imbarazzante e pieno di
difetti: è un produttore piccolissimo e sconosciuto, non da meno stoico
difensore dell'enologia sacra – strenuo baluardo in un mondo di bruti e loschi
figuri – sottolineando l'irripetibile fortuna di assaggiare, comodamente seduti
al tavolo, i suoi capolavori. Non solo, immancabilmente sottolineando il fatto
che nessun altro ristorante o enoteca propone i vini di quel produttore e, il più
delle volte, l'assaggio fa inesorabilmente comprendere, in modo fin troppo
semplice, il motivo.
Sono troppo polemico e sarcastico? Sì, certamente e lo so fin troppo bene. Ma
sono anche convinto che ad ascoltare certi racconti, o storie che dir si voglia,
questo mi pare il modo adeguato con il quale si può commentare. Come ho già
scritto nell'editoriale del mese scorso, quando voglio immergermi dell'emozione
di una storia, lo faccio leggendo un libro o andando a teatro. Quando verso un
vino nel calice, voglio ascoltare e assaggiare quel vino e basta. Il fatto che il
suo produttore viva come un eremita, osservando stili di vita arcaici, facendo
colazione in compagnia di una cinciallegra mattacchiona e la sera, dopo cena,
gioca a carte con un orso marsicano, non aggiunge o toglie nulla al vino.
Piuttosto, si tratta di un becero tentativo di manipolazione emozionale e
psicologica, un fastidioso espediente per fare rivolgere la mente altrove
e non dove dovrebbe essere, cioè nel vino che si ha nel calice. Soprattutto,
quando questo accade, finisco sempre per avere la stessa sensazione, cioè che il
cantastorie di turno poco o nulla conosce del vino in generale, confidando
di nascondere la sua ignoranza e incompetenza con dei simpatici racconti che
tutto raccontano tranne che di vino.
Antonello Biancalana
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