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  Editoriale Numero 244, Novembre 2024   
Ancora Storie di ViniAncora Storie di Vini  Sommario 
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Ancora Storie di Vini


 L'editoriale dello scorso mese ha suscitato un certo interesse da parte dei consumatori e produttori, tanto che molti hanno ritenuto – in quantità ben maggiore rispetto a quanto accade normalmente – di inviare mail con i loro commenti e pensieri in merito a quanto ho scritto. A ogni mail in arrivo, mi aspettavo di leggere le reazioni di disapprovazione da parte di quelli che, forse colpiti nell'orgoglio, desideravano legittimamente di esprimere il proprio dissenso. Ovviamente ci sono state molte mail in disaccordo con la mia opinione, la maggiore di queste da parte dei produttori, tuttavia la maggioranza – di gran lunga più cospicua rispetto alla minoranza – ha espresso totale condivisione con quello che ho scritto. Fra questi, anche molti produttori i quali, pur non apprezzando la narrazione favolistica e affabulatoria del vino, si trovano loro malgrado a doverla subire per “non meglio chiarite situazioni o condizioni” e unicamente per soddisfare una certa categoria di consumatori e i contesti commerciali, culturali e sociali ai quali fanno riferimento o appartengono.


 

 Devo anche sottolineare, con piacere, che la maggioranza dei nostri lettori ha espresso commenti di totale condivisione e approvazione, molti facendo inoltre notare come in alcuni casi si arrivi al ridicolo con certe narrazioni. Nemmeno a dirlo, sono d'accordo. Inoltre, mi fa piacere di non essere l'unico a pensare che, molto spesso, si esageri con questo tipo di comunicazione che esclude, in modo anche fin troppo evidente, il vino, relegato in posizione marginale rispetto all'entusiasmante racconto di arcaiche fatine e straordinari luoghi baciati da un destino benevolo, unico e magico. A onore del vero, abbiamo ricevuto anche mail di nostri lettori che apprezzano questo tipo di racconto intorno al vino, sebbene rappresentino la minoranza. Anche alcuni produttori, da quel che si leggeva nei loro commenti, sembrano apprezzare questo espediente comunicativo nel presentare i propri vini, o meglio, la propria azienda e contesto produttivo.

 Nell'editoriale dello scorso mese, in realtà, avrei voluto parlare anche di un altro caso nel quale si fa un uso disinvolto di storie di vini. Per mancanza di spazio, ho deciso di non trattarlo in quell'occasione ma – visto l'interesse che ha suscitato, nel bene e nel male – lo faccio nell'editoriale di questo mese. Mi riferisco alla vasta categoria di ristoranti, wine bar ed enoteche, più in generale, nei luoghi dove si vende vino al dettaglio. Sarà forse il dilagare degli affabulatori, non da ultimo e come ho potuto constatare personalmente, che a certi consumatori interessino più i vini con una storia anziché il vino in sé, spesso nei ristoranti, wine bar ed enoteche il fenomeno è sempre più frequente. La narrazione e presentazione dei vini in questi esercizi di vendita rasenta a volte il ridicolo per il modo con il quale si magnificano le mirabolanti gesta del produttore o della cantina, trascurando volutamente – forse per mal celare un'imbarazzante ignoranza o impreparazione – le qualità specifiche del vino.

 Una prova tangibile di quanto il vino sia maltrattato in molti ristoranti lo si può inoltre evincere palesemente dalle loro carte dei vini. Annate generalmente assenti, denominazioni e nomi dei vini approssimativi o errati, organizzazione delle categorie effettuata in modo discutibile e confuso, nomi dei produttori uniti a quelli del vino, anche in modo errato, a volte addirittura omesso. La carta dei vini è uno strumento di lavoro che innegabilmente facilita e incoraggia la vendita, ammesso sia costruita e compilata in modo opportuno ed efficace. Come ho già scritto in passato relativamente a questo argomento, personalmente non ordino mai vino nei ristoranti nei quali la carta dei vini è palesemente disordinata, approssimativa, confusa o incompleta. L'esperienza mi insegna che il servizio del vino sarà effettuato esattamente con lo stesso disordine, approssimazione e confusione. Ovviamente, non tutti i ristoranti sono così – esistono evidentemente lodevoli e ammirevoli eccezioni, non solo nell'alta ristorazione – ma la maggioranza, per quello che mi riguarda, presenta carte dei vini di imbarazzante inutilità.

 C'è poi l'entusiasmante categoria dei ristoratori, camerieri e sommelier cantastorie che, solitamente, si esibiscono nell'improvvisato palco difronte al tavolo del malcapitato cliente, soprattutto quando la carta dei vini non è disponibile oppure compilata in modo estroso, non da meno, con stravagante creatività. Molto spesso, il monologo inizia senza nemmeno chiedere cosa si è ordinato dalla cucina o si intende ordinare, cominciando a elencare sommariamente i vini disponibili o da proporre, concentrando prevalentemente il racconto su cosa fa il produttore, dove lo fa, la sua visione e filosofia del vino e, non da meno, il privilegio che ha avuto dalla vita per vivere in quel luogo così incantato. Se si prova a chiedere specificamente qualche informazione relativa ai suoi vini, la risposta è spesso elusiva e breve, per poi tornare abilmente al racconto del produttore, cosa fa, dove abita e come vive, con un maniacale entusiasmo tale da fare pensare che sicuramente sarà anche rivelato per quale partito politico vota, la sua religione e il segno zodiacale. Magari anche il suo magico potere divino di sapere parlare agli uccellini, farfalle e lucertole che vivono beate e felici nel suo incantato vigneto.

 Se si insiste ancora sul vino, li vedi cambiare espressione e, con disappunto, farfugliano qualcosa tanto per accontentarti. Se si chiede poi l'annata del vino, non è raro sentirsi rispondere “non so, devo chiedere, devo controllare, non sono sicuro”. A questa categoria, poi, si aggiunge quella degli scopritori di talenti enologici che, trionfanti, narrano di come sia stato avvincente scoprire quel tale produttore che nessuno conosceva e che, per sommo e divino privilegio, il cliente al tavolo ha la straordinaria fortuna di assaggiare i suoi vini. Non importa poi se il vino è di una mediocrità imbarazzante e pieno di difetti: è un produttore piccolissimo e sconosciuto, non da meno stoico difensore dell'enologia sacra – strenuo baluardo in un mondo di bruti e loschi figuri – sottolineando l'irripetibile fortuna di assaggiare, comodamente seduti al tavolo, i suoi capolavori. Non solo, immancabilmente sottolineando il fatto che nessun altro ristorante o enoteca propone i vini di quel produttore e, il più delle volte, l'assaggio fa inesorabilmente comprendere, in modo fin troppo semplice, il motivo.

 Sono troppo polemico e sarcastico? Sì, certamente e lo so fin troppo bene. Ma sono anche convinto che ad ascoltare certi racconti, o storie che dir si voglia, questo mi pare il modo adeguato con il quale si può commentare. Come ho già scritto nell'editoriale del mese scorso, quando voglio immergermi dell'emozione di una storia, lo faccio leggendo un libro o andando a teatro. Quando verso un vino nel calice, voglio ascoltare e assaggiare quel vino e basta. Il fatto che il suo produttore viva come un eremita, osservando stili di vita arcaici, facendo colazione in compagnia di una cinciallegra mattacchiona e la sera, dopo cena, gioca a carte con un orso marsicano, non aggiunge o toglie nulla al vino. Piuttosto, si tratta di un becero tentativo di manipolazione emozionale e psicologica, un fastidioso espediente per fare rivolgere la mente altrove e non dove dovrebbe essere, cioè nel vino che si ha nel calice. Soprattutto, quando questo accade, finisco sempre per avere la stessa sensazione, cioè che il cantastorie di turno poco o nulla conosce del vino in generale, confidando di nascondere la sua ignoranza e incompetenza con dei simpatici racconti che tutto raccontano tranne che di vino.

Antonello Biancalana



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