Il vino esiste perché esistono gli uomini. La vite, per i suoi leciti bisogni
biologici e di sopravvivenza, non avrebbe mai prodotto vino. E nemmeno aceto. La
Natura, è fin troppo evidente, non ha alcun interesse per il vino: semplicemente
è un prodotto che non ha utilità alcuna ai fini della Natura e dei suoi
obiettivi. L'uomo invece sì: da millenni continua, anno dopo anno, a produrre
questa bevanda grata sia per il proprio personalissimo piacere, sia per
affermare abilità commerciali e, con queste, la possibilità di procurarsi un
profitto economico. Con il tempo, l'uomo ha attribuito significati diversi al
vino, significati rituali e sacri, così come essenziale elemento sociale con il
quale si sono celebrati i momenti più significativi e importanti della storia.
Il vino ha assunto anche significati decisamente meno nobili, piuttosto
disdicevoli, a causa dei suoi noti effetti sulla salute che si verificano quando
si abusa e si eccede nel suo consumo.
Bevanda quindi poliedrica, come tutte le cose create dall'uomo, assume
significati diversi in accordo alle tradizioni, storia, cultura e contesti
sociali. La vite - notoriamente una liana che, per sua natura, si abbraccia ad
alberi e supporti per garantire il proprio sostegno - è stata
addomesticata proprio per favorire la sua coltivazione a misura
d'uomo e per produrre vino. Il vino esiste perché esiste l'uomo. Della natura
selvaggia della vite se ne erano accorti gli Etruschi, ancor prima che i
Greci arrivassero nel nostro Paese. Gli Etruschi non erano grandi consumatori di
vino, ma avevano capito il suo valore commerciale e pertanto ne curavano la
produzione. Alcune anfore Etrusche sono state infatti ritrovate perfino in
Borgogna, presumibilmente usate per il trasporto del vino, anche se non è chiaro
come il vino Etrusco abbia effettivamente raggiunto la Borgogna. Gli Etruschi
assecondavano la natura della vite, tanto da consentirgli di arrampicarsi nei
tronchi di alti alberi.
L'antica tecnica viticolturale dell'alberata, oggi pressoché scomparsa, era
infatti una tecnica prevalentemente Etrusca, poi progressivamente abbandonata
quando i Greci arrivarono in Italia e iniziarono a diffondere le loro tecniche
viticolturali. Tutto era comunque teso al medesimo obiettivo: allevare la vite
in modo da consentire la produzione di vino. La vite, probabilmente, non aveva
nessun interesse a subire questo adattamento forzato. Non si tratta, comunque,
di un prezzo pagato senza ottenere nulla in cambio. Anche la vite,
innegabilmente, ha tratto evidenti benefici dall'interesse dell'uomo alla
produzione di vino. La vite oggi conosce una diffusione piuttosto ampia, le
ricerche dell'uomo le hanno consentito di migliorare la sua specie attraverso le
selezioni clonali. Ad onore del vero, va ricordato che l'operato dell'uomo ha
anche portato al rischio di estinzione, come nel caso della fillossera o certe
scellerate pratiche fitosanitarie.
Il risultato è stato comunque straordinario: un connubio fra uomo e Natura che
ha permesso - il vino esattamente come tanti altri prodotti - la produzione di
una bevanda dal così alto valore culturale, sociale e antropologico. Un antico
adagio ci ricorda che sbagliando si impara, e questo è certamente
quello che è accaduto nella complessa interazione fra uomo e Natura nella
produzione di vino. Per così dire, la Natura dispone gli elementi essenziali per
la produzione di vino - vite e territorio, su tutti - l'uomo, facendo uso
dell'ingegno, cultura, passione e onestà, riesce a trarre vantaggio da queste
condizioni per creare una nobile bevanda. Il concetto di nobiltà è certamente
relativo e, a ben guardare cosa passa talvolta per i calici, il confine fra
nobiltà e rozzezza è spesso confuso, perfino incomprensibile. La rozzezza del
vino è spesso tenuta nascosta da biechi motivi di speculazione commerciale o
culturale e, tristemente, sovente riescono in questo rozzo intento.
Ci sono, per fortuna, tanti e straordinari esempi di uomini che si sono
adoperati per restituire e conservare la nobiltà del vino. Uomini che si sono
tenuti lontani da definizioni, etichette, mode e speculazioni del momento, che
hanno preferito fare vino seguendo la loro passione e cultura, piuttosto che
vendere una vuota definizione alla moda con la quale nascondere il proprio
vino. Molti di questi, dopo avere contribuito in modo fondamentale, anche a
vantaggio di tutti quelli che oggi producono o lavorano a vario titolo nel mondo
del vino - intento, questo certamente, nobile - sono stati poi discreditati e
rinnegati. Oltre all'infame manifestazione di ingratitudine, è la dimostrazione
di quanto spesso si parli di argomenti e uomini senza nemmeno conoscerne la loro
storia, origine, opere e importanza. Si parla così, tanto per dire qualcosa.
Anche questi soggetti - purtroppo - sono da molti considerati uomini del
vino.
Fare un elenco di questi grandi uomini che hanno contribuito in modo così alto e
fondamentale alla storia del vino sarebbe impresa ardua, anche per il rischio
che si correrebbe di escludere ingiustamente qualcuno. Sarebbe certamente ancor
più inutile riportare un elenco di quelli che oggi discreditano l'operato di
questi grandi uomini - soggetti che si ritengono, poveri meschini, perfino
migliori - e che non riescono nemmeno a capire che senza di questi, oggi molti
di loro sarebbero costretti a fare un lavoro diverso. Un lavoro che
probabilmente non riguarderebbe il vino. Per quello che mi riguarda, ritengo di
dovere ringraziare molte persone, anche quelle che non ho mai conosciuto di
persona ma che mi hanno insegnato molto con quello che hanno scritto o fatto. Lo
stesso ringraziamento lo devo a quelli che conosco personalmente - alcuni di
questi mi onorano della loro preziosa amicizia e stima - consapevole di non
avere ricambiato a sufficienza quanto mi hanno insegnato. Infine, devo molto a
tutti i vini che ho assaggiato fino a qui: anche loro mi hanno insegnato molto -
nel bene e nel male - non solo la loro storia e vita, ma anche quella degli
uomini che lo hanno prodotto.
Antonello Biancalana
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