In tutti questi anni trascorsi nel mondo del vino, ho avuto straordinarie
opportunità, ho assaggiato migliaia di vini diversi, sia di magnifico valore
enologico, sia di valore decisamente più modesto, in ogni caso utili per
comprendere meglio la bevanda di Bacco. Ho conosciuto tanta gente che opera nel
mondo del vino così come genuini appassionati, inoltre persone di indiscussa
competenza tecnica enologica e viticolturale: tutti mi hanno insegnato
qualcosa, a tutti parimenti va il mio ringraziamento. Con molti è nato un
sincero sentimento di reciproca stima e amicizia, qualcosa che arricchisce e
rende ancor più prezioso il semplice rapporto fra professionisti che guardano
al vino, seppure con finalità diverse. Capita sovente, infatti, che approfitti
della loro pazienza, ponendo loro domande con lo scopo di comprendere il loro
punto di vista sull'argomento vino e viticoltura, ovviamente, anche per mio
personale beneficio.
Mi piace, infatti, ogni volta che è possibile, ascoltare le persone che
lavorano nel mondo del vino, quelli che il vino lo fanno per davvero e lo
apprezzano sinceramente, non solo per il fatto che è parte del loro lavoro.
Ad ascoltare gli appassionati racconti di vignaioli ed enologi, emerge sempre
un fattore comune in tutti i casi: la passione per il proprio lavoro e per il
vino, la volontà di offrire un prodotto di qualità e sano, il rispetto per il
territorio e l'ambiente. Sono consapevole che alcuni, leggendo queste
parole, potrebbero non trovarsi d'accordo, soprattutto se valutate secondo i
criteri di certe visioni enologiche. Mi riferisco, in modo particolare,
alla visione assoluta che spesso si manifesta in produttori e appassionati,
così forti e indiscutibili, tali da opporre un netto rifiuto a qualunque altro
modo di interpretare il vino.
Non mi riferisco a nessuna visione enologica in particolare, consapevole
che ognuna di queste, valutate nei loro principi, sono tutte esatte, capaci
di proporre un metodo e una filosofia viticolturale ineccepibile. Non voglio
entrare nel merito di nessuna, pur rilevando atteggiamenti e posizioni non
proprio dissimili dalle religioni o dalle dottrine ideologiche e politiche:
continuo a credere il vino sia molto superiore a questioni così povere e
frivole. Ho sempre considerato il vino come l'espressione delle persone che lo
producono e, di conseguenza, della loro visione del territorio e delle uve:
semplicemente, il vino, senza l'intervento dell'uomo, non esisterebbe. Si
tratta, indiscutibilmente, di bevanda creata per il nostro piacere e non
avrebbe altrimenti ragione di esistere, visto che non ricopre nessuna utilità
biologica ed evolutiva né per la vite né per la terra.
Rilevo spesso che per il vino, molto più che per altre produzioni attinenti
all'agricoltura, si tende ad essere più rigorosi ed esigenti, perfino più
intransigenti e integralisti. Si esprimono considerazioni piuttosto rigide e si
pretendono condotte morali ineccepibili, sia dal punto di vista ambientale,
sia da quello tecnico, qualcosa che difficilmente si verifica in altri ambiti.
Si pretende che il vino sia rispettoso per la salute e l'ambiente, che segua
delle pratiche viticolturali ed enologiche rigorose, si creano vere e proprie
fazioni che ripudiano tutto il resto, spesso considerato poco salutare e
perfino dannoso. Al vino si chiede, praticamente senza eccezione, di
rappresentare la tradizione di una cultura e di un territorio: l'innovazione è
spesso vista come una sofisticazione lesiva per la tradizione di altri tempi,
piuttosto che elemento migliorativo.
Il vino subisce spesso il peso della tradizione, una zavorra che lo mantiene
fermo a un tempo che non esiste più ma che, per semplici motivi nostalgici, ci
fa piacere rievocare. Dovremmo ricordare che una tradizione è semplicemente
un'innovazione che ha avuto successo e che, a suo tempo, è riuscita a
modificare un'altra tradizione. Si chiama progresso ed è quello che ci ha
permesso di arrivare fino a qui ed è la ragione per la quale il vino di oggi
non è come quello che producevano gli antichi romani. Anche sui trattamenti
fitosanitari in vigna vige, più o meno, lo stesso atteggiamento. Secondo la
tradizione, il trattamento operato con zolfo e solfato di rame costituisce il
fondamento per la viticoltura sana e rispettosa per la salute e l'ambiente.
Eppure, il rame è un metallo pesante e non è esattamente così semplice da
smaltire una volta assorbito dal suolo. Più di una volta mi è stato offerto
questo spunto di riflessione: chi inquina più, quello che fa dieci trattamenti
di zolfo e solfato di rame, oppure quello che ne fa uno solo ma usando altri
prodotti fitosanitari?
Già sento molti replicare sul fatto che i prodotti fitosanitari moderni sono
espressione della chimica e certamente nocivi per la nostra salute. Può anche
essere - del resto, io non ho competenza per affermare il contrario - tuttavia,
non mi risulta che lo zolfo e il rame siano salutari per l'organismo. C'è una
cosa che, in ogni caso, ho potuto percepire dalle parole dei produttori e dei
tecnici con i quali ho il piacere di scambiare opinioni sul vino: tutti hanno
il rispetto del proprio territorio, della vite e dell'ambiente. Sono tutti
consapevoli della responsabilità di offrire ai propri clienti un prodotto sano
e di qualità, rispettando, prima di tutto, il proprio vigneto, visto che è da
li che si genera il loro lavoro. Poi, ognuno ha le proprie visioni su come
raggiungere questo obiettivo, sia di ordine etico sia tecnico, ma tutti
riconoscono priorità assoluta e indiscussa alla vigna e al territorio, come
conservarlo e rispettarlo nel migliore dei modi. E di tutte le cose frivole che
vedo intorno al mondo del vino, questa, probabilmente, mi pare quella più
concreta e sostenibile.
Antonello Biancalana
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