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  Cavatappi Numero 46, Novembre 2006   
Fare il Vino: l'Anidride SolforosaFare il Vino: l'Anidride Solforosa  Sommario 
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Fare il Vino: l'Anidride Solforosa

Fra i componenti chimici più discussi e detestati dell'enologia, l'anidride solforosa è l'elemento più importante per la stabilità e la conservazione del vino

 L'anidride solforosa è certamente uno dei componenti chimici più discussi e detestati in enologia. Nonostante l'uso di sostanze chimiche nella produzione del vino sia piuttosto frequente, quando si parla di chimica in enologia, l'anidride solforosa è l'elemento più frequentemente associato, come se fosse l'unico ad essere utilizzato nella produzione di vino. In realtà, l'anidride solforosa è solamente uno dei tanti elementi chimici utilizzati in enologia, certamente il più comune e il più importante. L'anidride solforosa - la quale formula chimica è SO2 - è un gas incolore, dal tipico odore pungente e acre, irritante per gli occhi e per il tratto respiratorio. L'inalazione di questo gas può provocare l'edema polmonare e l'inalazione prolungata di forti dosi può addirittura provocare la morte. Nonostante le quantità utilizzate in enologia siano minime e ampiamente inferiori ai livelli tali da provocare questi effetti, è sempre e comunque consigliabile adottare le opportune precauzioni ed evitare il più possibile l'inalazione del gas durante il suo uso nelle diverse fasi della produzione del vino.


Sali di metabisolfito di potassio
Sali di metabisolfito di potassio

 L'anidride solforosa è utilizzata in enologia per le sue importanti azioni antiossidanti, conservanti e antisettiche, azioni che sono indispensabili per la salute, la stabilità e la qualità del vino. Nonostante l'anidride solforosa sia fra i più detestati componenti chimici utilizzati in enologia, a tutt'oggi non si sono trovate alternative tali da offrire azioni antisettiche e conservanti altrettanto efficaci, oltre che più salutari per l'uomo. È opportuno ricordare che l'anidride solforosa è uno dei più comuni conservanti utilizzati nell'industria alimentare e delle bevande, pertanto il suo uso non è limitato solamente all'enologia e al vino. L'Unione Europea identifica e codifica gli additivi e le sostanze chimiche utilizzate nell'industria alimentare, con delle sigle numeriche precedute dalla lettera “E” e che devono essere riportate nell'elenco degli ingredienti. Le sigle comprese fra E220 ed E229 sono classificate come “solfuri” - come l'anidride solforosa (E220) e il metabisolfito di potassio (E224) - tutte con proprietà conservanti, antisettiche e antiossidanti. Queste sostanze sono considerate come possibili responsabili di reazioni allergiche in soggetti sensibili e predisposti.

 

L'Anidride Solforosa in Enologia

 L'anidride solforosa è utilizzata in enologia - come già detto - per le sue contemporanee azioni antiossidanti e antisettiche. Nonostante questi positivi effetti sul vino, è bene ricordare che il suo impiego deve essere comunque limitato, sia per gli effetti negativi sulla salute, sia per motivi organolettici. Le quantità massime consentite in enologia sono stabilite da apposite leggi in vigore in ogni paese. Per quanto concerne l'Unione Europea, i limiti massimi consentiti sono di 160mg/l per i vini rossi e di 210mg/l per i vini bianchi e rosati. Sono previste delle deroghe che consentono agli stati membri di alzare questo valore per un massimo di 40mg/l in annate sfavorevoli. Poiché l'anidride solforosa ha effetti tossici sull'organismo, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito la dose massima giornaliera in 0,7mg/kg di peso corporeo, mentre la dose letale è definita in 1,5g/kg di peso corporeo. A tale proposito, è opportuno ricordare che nei soggetti predisposti e sensibili all'anidride solforosa, questa può essere motivo di emicranie così come di altri disturbi. Va inoltre ricordato che un'opportuna ossigenazione prima del consumo - operazione che può anche essere svolta facendo roteare il calice - libera circa il 30-40% dell'anidride solforosa contenuta nel vino.


 

 L'uso razionale e intelligente dell'anidride solforosa in enologia, non è solo dettato da motivi salutistici o “etici” sul ridotto uso della chimica; il suo eccessivo uso può compromettere seriamente la qualità del vino. Quantità eccessive di anidride solforosa possono infatti conferire al vino gusti e aromi sgradevoli o favorire il suo l'intorbidimento durante la conservazione. L'anidride solforosa non è presente allo stato naturale nell'uva, tuttavia questa può essere prodotta da alcuni ceppi di lieviti naturalmente presenti nel mosto - da pochi milligrammi fino a oltre 50mg per litro - pertanto può essere considerata come un sottoprodotto naturale del vino. Anche per questo motivo è opportuno selezionare i lieviti assicurando così un migliore processo di fermentazione e limitando la produzione di elementi negativi tali da compromettere la qualità organolettica e la stabilità del vino. Grazie ai suoi effetti antiossidanti e antisettici, l'uso dell'anidride solforosa in enologia è considerato oggi indispensabile.

 In enologia, l'anidride solforosa è utilizzata sin dalle primissime fasi della produzione del vino, a partire dal mosto fino all'imbottigliamento. Nell'usare l'anidride solforosa, è opportuno sapere che una parte di questo gas si combina con alcuni componenti del mosto o del vino, mentre la restante parte resta libera, cioè non combinata. Sarà proprio la parte libera a svolgere gli importanti effetti antiossidanti e antisettici: per questo motivo è indispensabile che l'anidride solforosa si combini il meno possibile. L'anidride solforosa combinata è comunque utile, poiché nel caso in cui la frazione libera si disperde - durante le operazioni di travaso, per esempio - una piccola parte di quella combinata si libera sostituendola. Va comunque osservato che questo fenomeno è piuttosto limitato, pertanto è sempre indispensabile aggiungere anidride solforosa in tutti i casi in cui il vino viene a contatto con l'ossigeno, come nel caso di travasi, filtrazioni e imbottigliamento. La quantità di anidride solforosa libera sommata alla quantità combinata determina la quantità di anidride solforosa totale.

 L'anidride solforosa è utilizzata prevalentemente nei seguenti casi:

 

  • nel mosto per i vini bianchi, con lo scopo di evitare l'avviamento della fermentazione alcolica consentendo la decantazione delle parti solide
  • prima dell'inizio della fermentazione alcolica con lo scopo di selezionare i lieviti e, nel caso dei vini rossi, per favorire una migliore estrazione del colore e dei tannini dalle bucce
  • in tutte le operazioni che prevedono il contatto del vino con l'aria - come travasi, chiarificazioni, filtrazioni e imbottigliamento - evitando quindi l'ossidazione e lo sviluppo di batteri o lieviti indesiderati

 Poiché la conservazione del vino rappresenta sempre un fattore critico e gli effetti conservanti dell'anidride solforosa sono svolti dalla frazione libera, un vino correttamente conservato dovrà sempre avere una certa quantità di anidride solforosa libera. L'impiego dell'anidride solforosa in enologia può essere effettuato in diverse forme. Nella produzione casalinga del vino è preferibile impiegare metabisolfito di potassio anche per la sua semplicità d'uso. Il metabisolfito di potassio è infatti venduto in forma di sali, si può facilmente pesare e può essere conservato per molto tempo in contenitori ermetici al riparo dalla luce. Il metabisolfito di potassio contiene il 55% di anidride solforosa, pertanto ogni grammo contiene 550mg di SO2. Una volta determinata la corretta dose, il metabisolfito di potassio può essere aggiunto direttamente al mosto o al vino, provvedendo a mescolare la massa con un bastone di lunghezza tale da consentire una certa distanza dal recipiente evitando così di respirare le esalazioni che si sviluppano durante l'operazione.

 

Effetti dell'Anidride Solforosa

 Gli effetti dell'anidride solforosa possono essere raggruppati in quattro categorie: antiossidante, stabilizzante, solvente e modificatore del gusto. Nel mosto e nel vino sono presenti diverse sostanze che tendono a ossidarsi, modificando sia l'aspetto sia il gusto. L'impiego dell'anidride solforosa previene l'ossidazione di queste sostanze e in particolare delle sostanze coloranti, dei tannini, degli aromi, dell'alcol e del ferro. I rischi dell'ossidazione durante la produzione del vino sono piuttosto alti, un processo che inizia sin dal momento in cui il grappolo è raccolto dalla vite e trasportato in cantina. Inoltre, ogni volta che si compiono delle operazioni sul vino, la possibilità di contatti con l'ossigeno è sempre molto elevata, un rischio che aumenta ulteriormente nel caso in cui il mosto o il vino è ricco di enzimi e muffe - come la Botrytis Cinerea - e metalli catalizzatori, come ferro e rame. Per questi motivi, l'impiego dell'anidride solforosa può limitare gli effetti dell'ossidazione, assicurando quindi una maggiore qualità e conservazione del vino.

 L'azione stabilizzante e antisettica dell'anidride solforosa è molto importante e contribuisce alla migliore conservazione del vino. L'effetto stabilizzante si utilizza anche nel mosto ottenuto dalle uve bianche, poiché ritardando l'avviamento della fermentazione, consente la decantazione delle parti solide favorendo l'illimpidimento del mosto. L'anidride solforosa distrugge o blocca momentaneamente lo sviluppo dei batteri della fermentazione malolattica (generalmente evitata nei vini bianchi) e quelli che provocano malattie gravi del vino, come l'acescenza e lo spunto lattico. Importante è inoltre l'azione selettiva svolta dall'anidride solforosa nei ceppi dei lieviti naturalmente presenti nel mosto. Ogni tipo di lievito risponde a delle caratteristiche proprie e si comporta in modo diverso durante la fermentazione. Con lo scopo di assicurare una migliore e più omogenea fermentazione, l'anidride solforosa risulta utile anche in questo caso. Alcuni lieviti e molti batteri sono particolarmente sensibili agli effetti dell'anidride solforosa che svolgerà quindi un'opportuna operazione di selezione.

 Alcuni ceppi di lieviti, poco attivi nella fermentazione e che producono sostanze secondarie indesiderate ai fini della qualità del vino, sono fortunatamente più sensibili agli effetti dell'anidride solforosa, mentre altri che svolgono un'azione benefica durante la fermentazione, e in particolare il Saccharomyces Cerevisiae, sono più resistenti. Grazie all'anidride solforosa è pertanto possibile eliminare i lieviti e i batteri indesiderati, mantenendo invece i lieviti considerati positivi ai fini della fermentazione alcolica. L'anidride solforosa svolge un effetto solvente favorendo l'estrazione di certe sostanze presenti nelle bucce dell'uva. Durante la macerazione delle bucce di uve rosse nel mosto, l'anidride solforosa favorisce il passaggio in soluzione delle sostanze coloranti e dei tannini. Per questo motivo è sempre preferibile evitare il solfitaggio delle uve bianche poiché questo porterebbe all'ingiallimento del mosto e all'arricchimento di tannini. Nei mosti di uve bianche, l'aggiunta di anidride solforosa è sempre effettuata dopo la separazione delle parti solide, cioè dopo la sgrondatura. Fra gli altri effetti solventi, l'anidride solforosa favorisce l'estrazione delle sostanze minerali e degli acidi.

 L'anidride solforosa svolge anche un'azione positiva sul gusto e sugli aromi del vino. Dal punto di vista organolettico, evita l'ossidazione degli aromi, in particolare quelli fruttati tipici nei vini giovani, elimina il cosiddetto “gusto di svanito”, attenua i gusti di marcio e di muffa. Per ottenere questi effetti positivi, l'anidride solforosa deve essere aggiunta quando la fermentazione alcolica è terminata completamente. Qualora si aggiunga troppo presto rispetto alla fine della fermentazione, cioè quando la temperatura del vino è ancora troppo elevata, si possono sviluppare aromi e gusti sgradevoli di anidride solforosa, di mercaptano e di uova marce. L'anidride solforosa svolge infine una blanda azione chiarificante, poiché favorisce la coagulazione delle sostanze colloidali presenti nel vino e nel mosto, favorendo quindi la spontanea precipitazione delle fecce. L'anidride solforosa, aggiunta in quantità elevate nel mosto, è utilizzata per ottenere il cosiddetto “mosto muto”, cioè non fermentescibile, a causa del blocco dell'attività dei lieviti.

 Nonostante gli effetti dell'anidride solforosa in enologia siano indispensabili e importanti, è comunque e sempre opportuno limitare il suo uso e impiegare le dosi minori possibili, soprattutto per limitare gli effetti nella salute dei soggetti particolarmente sensibili a questo gas. Questa precauzione è particolarmente importante nella produzione di vini che richiedono dosi elevate di anidride solforica, in particolare nei vini dolci o comunque con un residuo di zuccheri elevato, vini nei quali si possono utilizzare, anche secondo i termini di legge, quantità maggiori di SO2. In ogni caso, dopo l'aggiunta di anidride solforosa, è sempre opportuno mescolare il vino o il mosto in modo molto omogeneo, cercando di essere il più precisi possibile nella preparazione della dose: sempre e comunque il minimo indispensabile. Infine, è opportuno ricordare che è sempre preferibile aggiungere anidride solforosa il meno spesso possibile anche se a dosi più elevate. L'aggiunta frequente e ripetuta di piccole dosi determina infatti una aumento della quantità di anidride solforosa totale. Gli effetti antiossidanti e stabilizzanti nel vino e nel mosto - è bene ricordarlo - sono unicamente svolti dall'anidride solforosa libera e non da quella combinata.

 




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