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  Cavatappi Numero 47, Dicembre 2006   
Fare il Vino: il MostoFare il Vino: il Mosto  Sommario 
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Fare il Vino: il Mosto

La produzione del mosto rappresenta la prima fase di lavorazione in cantina, un'operazione che inizia con la selezione e la spremitura dei grappoli dell'uva

 La fase che segue la vendemmia consiste nella produzione del mosto, cioè lo schiacciamento degli acini dell'uva così da ottenere il succo che sarà successivamente fermentato in vino. Nonostante questa operazione possa sembrare semplice nella sua esecuzione - la spremitura delle uve è in effetti una procedura semplice - in realtà questa deve essere eseguita in modo tale da non compromettere la qualità dell'uva e del suo succo, operando - se necessario - le opportune correzioni. Le correzioni che si operano sul mosto dipendono ovviamente dalla qualità delle uve: uve sane e di qualità producono un mosto sano e di qualità che non richiede correzioni. Tuttavia, anche nei mosti di qualità - e dipendentemente dal tipo di vino che si desidera produrre - sarà necessario adottare le opportune precauzioni in modo da evitare e prevenire le inevitabili alterazioni prodotte, per esempio, dal contatto con l'ossigeno. L'obiettivo di chiunque desideri produrre un buon vino rimane sempre e comunque lo stesso: avere a disposizione uve sane e di qualità proprio con lo scopo di evitare il più possibile ogni tipo di correzione, sia sul mosto, sia sul vino.


Uva matura di Trebbiano pronta per essere trasformata in mosto
Uva matura di Trebbiano pronta per essere trasformata in mosto

 Dal punto di vista tecnico, il mosto è il prodotto che si ricava dall'uva fresca o ammostata - con o senza raspi e bucce - attraverso i procedimenti meccanici della pigiatura, sgrondatura e torchiatura. Se si considera il mosto come il risultato della spremitura delle uve senza ulteriori procedimenti, esso è composto per l'80-85% dalla polpa, 10-15% di bucce, 5% di vinaccioli o semi. Durante la fase della pigiatura - che consiste nello schiacciamento degli acini - si esegue generalmente anche la cosiddetta diraspatura, cioè la separazione dei raspi con lo scopo di non arricchire eccessivamente il mosto di tannini ruvidi: un'operazione praticamente indispensabile per i mosti destinati alla produzione di vini bianchi. Il mosto è la frazione liquida del pigiato dell'uva - il succo - composta per il 70-80% di acqua, 10-30% di zuccheri (prevalentemente fruttosio e glucosio) oltre a sostanze minerali, azotate (inorganiche e proteiche), polifenoli (tannini e sostanze coloranti) e acidi organici. La vinaccia è invece la frazione solida del pigiato dell'uva composta dalle parti fibrose della polpa, semi e buccia.

 L'analisi condotta sul mosto rileva inoltre la presenza di lieviti, sia perché questi sono naturalmente presenti nell'aria, sia perché - e soprattutto - si trovano nella pruina, lo strato superficiale opaco e biancastro che ricopre la buccia dell'acino dell'uva. Le sostanze acide - anche se normalmente poco percettibili all'assaggio a causa dell'azione di contrasto degli zuccheri - sono generalmente comprese fra i valori di pH 2,7 e 3,5, indispensabili per un regolare svolgimento della fermentazione. Nel mosto si trovano anche vitamine dei gruppi A, B e C, sostanze minerali (potassio, calcio, magnesio, sodio, fosfati, solfati, cloruri, ferro e rame) utili per il regolare andamento della fermentazione e per la stabilità e la limpidezza del vino. Di particolare importanza è la presenza di sostanze azotate, indispensabili allo sviluppo dei lieviti responsabili della fermentazione alcolica. Queste sostanze, al termine della fermentazione, si trasformeranno in componenti aromatici, alcune delle quali molto importanti per l'aroma complessivo del vino. Nonostante il loro importante ruolo, l'eccessiva presenza di sostanze azotate nel mosto può provocare intorbidamenti al vino oltre a compromettere la sua stabilità.

 

Produzione del Mosto

 Nonostante la pigiatura dell'uva - l'operazione che consente la produzione del mosto - sia semplice nella sua forma, in realtà è opportuno utilizzare strumenti idonei. In commercio esistono diversi tipi di pigiatrici meccaniche che consentono di pigiare grosse quantità di uva in tempi piuttosto brevi. La rapidità con la quale si pigia l'uva è in effetti di fondamentale importanza, poiché dal momento del raccolto al momento nel quale si inizia la produzione del mosto dovrà passare il minor tempo possibile. Uno dei problemi principali nella produzione casalinga del vino è rappresentata dalla procedura di separazione dei raspi dall'uva, un'operazione che si ritiene indispensabile per la produzione dei vini bianchi. La pigiatura dell'uva dovrebbe essere in effetti preceduta dalla diraspatura, cioè la separazione del raspo - la parte legnosa centrale del grappolo al quale sono attaccati gli acini - così da non conferire quantità eccessive di tannini ruvidi al mosto. A tale proposito è bene ricordare che in certi casi, in particolare quando le uve sono carenti di tannini, la diraspatura può essere evitata, tuttavia è sempre consigliabile eseguirla nella produzione dei vini bianchi in modo da assicurare maggiore finezza ed eleganza.


 

 Questa operazione può essere eseguita mediante un'apposita macchina - detta diraspatrice - tuttavia è più conveniente e pratico utilizzare una pigio-diraspatrice, cioè una macchina che oltre a provvedere alla separazione degli acini dal raspo, esegue anche la pigiatura dell'uva. In commercio esistono diversi tipi di pigio-diraspatrici e non tutte sono uguali. Una buona pigio-diraspatrice, oltre a consentire la separazione del raspo, dovrà pigiare l'uva in modo piuttosto delicato, senza eccessiva forza e in modo tale da non lacerare eccessivamente le bucce evitando la frantumazione dei vinaccioli. Il lavoro svolto da una buona pigio-diraspatrice è facile da riconoscere: le bucce sono integre e presentano una sola spaccatura laterale e i vinaccioli sono perfettamente integri. La frantumazione dei vinaccioli va evitata soprattutto nella produzione per i vini bianchi, poiché cedono quantità eccessive di tannini al mosto. Bucce più integre faciliteranno inoltre l'operazione di sgrondamento del mosto, cioè la separazione delle parti solide dalla parte liquida.

 A seconda del tipo di vino che si intende produrre, il mosto va trattato in modo opportuno. Nel caso di vino bianco, si procederà con lo sgrondamento, cioè all'immediata separazione delle bucce e dei vinaccioli così da limitare la cessione di polifenoli. Per il mosto destinato alla produzione di vino rosso, le bucce sono invece lasciate in macerazione per tutto il periodo della fermentazione, o fino a quando non si raggiunge il grado di colorazione e la quantità di tannini desiderata. Subito dopo la pigiatura, a causa del contatto con l'aria e dei lieviti naturalmente presenti nelle bucce, il mosto inizia a ossidarsi e a fermentare. L'ossidazione dovrà essere evitata in ogni caso - così come nel vino - mentre nel caso della produzione di vino bianco, è opportuno ritardare la fermentazione così da consentire un'adeguata sedimentazione delle parti solide presenti nel mosto. Nella produzione di vino bianco è infatti auspicabile l'utilizzo di mosto limpido e privo di sostanze solide - costituite dai residui della polpa e delle bucce - in modo da ottenere un vino più limpido e più stabile.

 L'anidride solforosa si rivela utile e fondamentale già subito dopo la pigiatura dell'uva poiché, grazie ai suoi effetti, evita dannose ossidazioni, opera un'opportuna selezione dei lieviti e blocca temporaneamente la loro azione. Queste due qualità saranno indispensabili per i mosti destinati alla produzione di vino bianco, poiché bloccando l'azione dei lieviti e svolgendo una blanda azione chiarificante, si consentirà la sedimentazione delle parti solide presenti nel mosto ritardando la fermentazione. Nonostante l'anidride solforosa abbia degli effetti indesiderati sull'organismo, le quantità tipicamente utilizzate e ammesse in enologia sono da considerarsi relativamente sicure, tuttavia è sempre opportuno utilizzare sempre e comunque la quantità minima indispensabile. Nella produzione casalinga di vino, il metodo più semplice e affidabile di addizione di anidride solforosa è rappresentato dall'impiego di metabisolfito di potassio, semplice da pesare e da aggiungere. È invece sconsigliabile il poco pratico impiego di dischi di zolfo da bruciare nei contenitori, poiché questo metodo non consente di stabilire esattamente le dosi di anidride solforosa aggiunta al mosto o al vino.

 Utilizzando il metabisolfito di potassio, è opportuno ricordare che questo contiene circa il 55% di anidride solforosa, pertanto un grammo di metabisolfito di potassio produce 550 mg di anidride solforosa. Per quanto riguarda il mosto, le quantità di metabisolfito di potassio da impiegare possono variare da 5 a 30 grammi per ettolitro, dosi variabili in funzione della qualità e della sanità delle uve. Nel caso di uve sane e senza difetti, sarà sufficiente impiegare da 5 a 10 grammi per ettolitro di metabisolfito di potassio, mentre con uve alterate da muffa, o peggio ancora, da marciume, si arriverà all'impiego di 20-30 grammi per ettolitro. In condizioni normali, l'impiego di 10-15 grammi per ettolitro è da considerarsi corretto e tale da garantire una buona fermentazione. È comunque opportuno ricordare che maggiore è la dose di anidride solforosa utilizzata nel mosto e più lento risulterà essere l'inizio della fermentazione alcolica. Inoltre, quantità eccessive di metabisolfito di potassio (50-60g/hl e oltre) inibiscono completamente la fermentazione del mosto poiché in questo modo si eliminano tutti i microorganismi presenti, compresi i lieviti.

 L'aggiunta di anidride solforosa, nella forma di metabisolfito di potassio o di altri metodi, va eseguita in accordo al tipo di mosto da trattare. Poiché l'anidride solforosa svolge anche un'azione solvente in certi componenti presenti nella buccia degli acini d'uva - in particolare le sostanze coloranti e i polifenoli - si sconsiglia l'addizione, praticata da molti, direttamente sulle uve bianche poiché questo provocherebbe un poco desiderabile ingiallimento del mosto. Nel mosto prodotto da uve bianche è sempre opportuno aggiungere l'anidride solforosa dopo la fase di sgrondamento, cioè dopo avere provveduto a separare le bucce dal mosto. In ogni caso, indipendentemente dal tipo di vino da produrre - sia bianco, sia rosso - è preferibile aggiungere l'anidride solforosa direttamente al mosto provvedendo a mescolare uniformemente la massa. Il contatto con le bucce è indispensabile nei mosti da uve rosse poiché saranno proprio queste a conferire colore al vino, mentre nel vino bianco vanno eliminate subito dopo la pigiatura. La parte sgrondata può essere quindi torchiata e aggiunta al mosto, oppure utilizzata per la produzione di vini di minore pregio.

 

Analisi e Correzione del Mosto

 Nonostante si siano già effettuati dei controlli sulle uve per stabilire il giusto momento della vendemmia, prima di avviare il mosto alla fase della fermentazione alcolica, è opportuno eseguire specifiche analisi con lo scopo di conoscere le sue caratteristiche e - se necessario - operare le opportune correzioni. Nella produzione casalinga del vino si può considerare sufficiente - oltre che essenziale - l'analisi della quantità di zuccheri presenti nel mosto, tuttavia sarebbe opportuno provvedere anche all'importante controllo della quantità di acidi. L'analisi degli zuccheri del mosto può essere eseguita utilizzando un densimetro - o mostimetro di Babo - oppure un rifrattometro, che ha il vantaggio di fornire un risultato più attendibile. Per conoscere il volume di alcol approssimativo del vino in base alla quantità di zuccheri rilevata con il mostimetro di Babo o con il rifrattometro, si rimanda il lettore agli articoli precedenti.

 L'analisi dell'acidità risulta essere più complessa, soprattutto nell'ambito della produzione casalinga di vino. In un recipiente di vetro - preferibilmente un Becher - si mettono 7,5 ml di mosto al quale si aggiungono 40 ml di acqua distillata e alcune gocce di blu di bromotimolo. Si aggiunge quindi - lentamente e mescolando continuamente il mosto - idrato di sodio (NaOH) 0,1 N (normaldecimo) fino a quando la soluzione non assume un colore blu, segno che gli acidi del mosto sono stati neutralizzati (nel mosto rosso si noterà invece un evidente incupimento del colore). La quantità di NaOH 0,1 N aggiunta, espressa in millilitri, corrisponderà all'acidità totale del mosto espressa in grammi di acido tartarico per litro. Lo stesso metodo può essere utilizzato anche per la determinazione dell'acidità di un vino. La corretta quantità di acido in un mosto dipende dal tipo di vino da produrre.

 Qualora il mosto dovesse risultare carente di zuccheri o di acidi, si può provvedere alla sua correzione. L'aumento della quantità di zucchero nel mosto può essere effettuata sia mediante l'aggiunta di mosto concentrato, sia aggiungendo del comune zucchero, ricordando che quest'ultimo metodo è vietato in Italia per i vini destinati al commercio, ma utilizzabile per i vini destinati al consumo personale, come quelli della produzione casalinga. Ogni 1,7 kg di zucchero aggiunti per ettolitro di mosto consente di ottenere l'aumento del volume alcolico di circa l'1%. Lo zucchero va preventivamente sciolto in pochi litri di mosto e quindi aggiunto alla massa in fermentazione. L'aumento dell'acidità del mosto va eseguita aggiungendo acido tartarico, normalmente reperibile nei negozi di enologia. Poiché l'acido tartarico tende a combinarsi con alcuni sali presenti nel mosto e nel vino, ogni 1,3-1,5 grammi di acido tartarico aggiunti per litro corrisponderà all'aumento di un grammo per litro di acidità. La disacidificazione del mosto non è consigliabile - se non nei casi in cui questa è molto elevata - poiché durante la fermentazione alcolica e malolattica, quasi la metà dell'acidità originale viene persa; pertanto al termine della produzione è molto probabile che il vino abbia raggiunto la giusta acidità.

 




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